Lo scorso aprile è atterrato sugli scaffali italiani un libro molto curioso completamente dedicato alle postille. Si intitola Scrivere sui libri e il suo autore si chiama Giancarlo Petrella.
Abitudine antichissima che si è poi maggiormente diffusa con la nascita e lo sviluppo del libro a stampa, la postilla è una traccia scritta, a volte un po' sbilenca e altre sinuosa ed elegante, che il lettore lascia sulle pagine di un libro a corredo (e a completezza) della sua esperienza di lettura. Per molto tempo le postille sono state considerate atti truci che deturpavano la sacralità di manoscritti e libri. Così come l'autore di Scrivere sui libri, non la penso così.
Con le postille il lettore dialoga con lo scrittore. Con le postille il lettore divaga e integra un testo creato da altri. Con le postille il lettore marchia per sempre il passaggio di quel libro nella sua vita, tramandandone un ricordo visivo per chi verrà dopo. Anni, decenni, secoli dopo. È a questo che penso mentre, da uno dei palchetti della libreria di casa, prelevo il mio Orlando Furioso uscito dai torchi veneti del Valgrisi nel lontanissimo 1603.
All'epoca, questa particolare edizione presentò un'importante novità editoriale: ognuno dei 46 canti che compongono il poema venne anticipato e ornato da un'illustrazione che occupava l'intera pagina (e non una semplice vignetta com'era d'uso comune a quei tempi).
Ma non è dei pregi editoriali di questo volume che voglio scrivere. Ho ripreso in mano l'opera dell'Ariosto perché, mentre riflettevo sul fascino e sull'utilità delle postille, mi è tornata in mente la sensazione che provai qualche anno fa quando aprii per la prima volta questo libro dal formato in 4to con oltre quattro secoli di vita alle spalle e dotato di una rilegatura ancora oggi sorprendentemente salda e robusta.
Quella sera, quando spalancai davanti a me il canto I dell'Orlando Furioso, mi imbattei in uno dei passaggi più celebri della storia della letteratura mondiale.
“Le Donne, i Cavalier, l’Arme, gli Amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto…”
Nel suo attacco, l'Ariosto con poche parole ha circoscritto il perimetro delle mille vicende che narrerà lungo le pagine del suo straordinario poema. Tutte sono infatti ascrivibili a tre nuclei tematici: la guerra, la passione e l'amore. Quella sera però i miei occhi non furono rapiti né dal leggendario incipit, né dalla straordinaria incisione a piena pagina che anticipava il canto I.
Ciò che, come un magnete, attrasse la mia attenzione fu per prima cosa una minuscola postilla collocata sulla sinistra, proprio accanto alle celeberrime parole che aprono l'opera di Ludovico Ariosto. In quegli attimi, mentre reggevo tra le mani un volume che aveva oltre 400 anni, i miei primi pensieri ruotarono tutti attorno a quella postilla.
Di chi era la mano che aveva scritto quelle parole? Perché aveva sentito la necessità di scriverle? Quando le aveva scritte? Dove si trovava mentre le annotava? E poi, quanti proprietari aveva avuto quel libro prima di arrivare a schiudersi davanti ai miei occhi? In quali luoghi d'Italia, d'Europa o del mondo era stato conservato prima di arrivare tra le mura di casa mia? Ecco, credo che questa brevissima storia personale trasmetta bene il fascino e l'importanza delle postille che ogni tanto scoviamo tra le pagine dei nostri libri.
Chiudo l'antico Furioso e lo ripongo tra gli altri antichi pensando: viva le postille di ieri, di oggi e di domani.
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