La vita, la morte, la vita, la morte, avresti messo fine all’eterno ciclo, promettesti.
Tritemio, Paracelso e altri di quella schiatta, per anni ti hanno visitato in sogno lanciandoti molliche di pane
ad indicarti l’uscita dal labirinto.
Tra alambicchi, elettrodi e strani macchinari, studiavi gli antichi tomi polverosi mentre fuori, alla luce della luna, i comignoli tramutavano in punti interrogativi.
Misteri a cui fornire una soluzione per ottenere una vita seguita solo dalla vita,
questa era l’ossessione.
Penetrare in profondità i quattro elementi naturali e servirsene alla bisogna, perché il modo migliore per ingannare la morte è creare la vita, dicevi.
Nel mentre, accuse di superbia, ingiurie e condanne alla dannazione eterna,
avevano per te parvenza di balocchi.
Ladri, assassini e chissà cos’altro, ripescasti dal pattume umano
per comporre il tuo pupazzo fatto di scarti.
Vivi! Vivi! Vivi! Urlasti quella notte sciagurata quando la folgore innescò la scintilla nell’essere fatto di male cucito su male.
Il dado ormai era tratto ma, ben presto, scopristi che stregoni, alchimisti e negromanti ti avevano beffato.
Uomo fiero e caparbio, non hai mai riflettuto sulle conseguenze delle tue azioni e adesso mi trovo qui a chiedermi chi sono. Dov’è la mia anima?
Ritenevi te stesso la roccaforte degli uomini liberi, ma hai incatenato tuo figlio dietro le sbarre invisibili di una cella imperitura.
Tu, nato dal sole di Partenope, mi hai condannato all’oscurità e al freddo eterni
e, mentre mi eclisso, la madre della mia cattiveria si chiama disperazione.
Vagasti dalla Svizzera al Mediterraneo, dalle steppe russe fino al Polo Nord
per rimediare finalmente agli errori del passato.
Alla fine, mentre giacevi spossato dalla lotta prometeica, a trovarti fu la morte, implacabile boia della superbia umana.
Ora, mentre disperato cerco ancora la mia essenza più profonda, da questo gelido antro remoto ti bestemmio e maledico padre mio.
Rifuggo il mondo, ho chiuso con tutti gli uomini e, come quel nano, serro gli occhi non conoscendo affatto la statura di Dio.
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