Scrivere, come primo romanzo, una storia che descrive la surreale e nichilistica indifferenza alle cose e al mondo, da parte di un modesto impiegato di Algeri. Scrivere uno dei libri che, a giudizio dei più, si colloca ai primissimi posti di un'ipotetica classifica dei migliori libri del ‘900 e, come se non bastasse, vincere anche il Nobel per la Letteratura alcuni anni dopo.
Algeri.
Sole battente.
Caldo soffocante.
Pelle costantemente imperlata di sudore.
Quattro dei principali elementi che pervadono le pagine di questo libro.
E poi c’è lui, Mersault, protagonista il cui tratto principale è la profondissima indifferenza nei confronti di tutto quello che sente, vede, vive. Ma no, a pesarci bene il vero protagonista è proprio il distacco emotivo. Mersault ne è solo lo strumento fatto di carne, sangue e ossa, che serve a trasmettercelo. Per lui non c’è alcun peso morale da assegnare alle proprie azioni, alcun vero interesse per i propri simili e per il valore della vita umana. Più di tutto, Mersault non si interessa neanche di sé stesso. Un inerme, passivo prigioniero del destino.
Ad un certo punto del racconto, per una serie di circostanze, Mersault si troverà impelagato in una faccenda che lo porterà ad avere grandi, grandissimi problemi. Tuttavia, anche in quel caso, il suo modo di vivere e affrontare le cose non cambierà. Resterà stoicamente ancorato alla sua indifferenza. Preferisco non anticiparvi altro. C'è più gusto nella lettura.
Terminate le 150 pagine, la sensazione più forte è di sconcerto. Lo sconcerto nel vedere un uomo affrontare tutto quello che gli accade con fiera apatia, fiero cinismo. Alla fine della lettura l’esclamazione spontanea è stata “Troppo inumano questo Mersault!”. O forse è proprio il contrario?
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