Da quasi una settimana vagavo in quell’immenso labirinto senza nome del quale non avevo mai sentito parlare e di cui non c’era traccia sulle mappe. La solitudine, la cupezza e il silenzio di quella foresta costellata in ogni direzione di olmi, noci e querce, avevano fortemente turbato i miei sensi. Credendo di aver perso l’orientamento, più volte salii in cima ad un albero per guardarmi intorno. Nulla, se non uno sterminato oceano di verde, si stagliava davanti ai miei occhi in tutte le direzioni. Lo sconforto riprese a pungolare con forza il mio spirito.
Un giorno, poco dopo aver mangiato parte del poco cibo ancora contenuto nella mia logora bisaccia, alle mie orecchie arrivò il suono quasi impercettibile di un sottilissimo sibilo. Vedendo che non mi abbandonava, decisi di rimettermi in cammino e seguirlo. Arrivato a questo punto, pensai, una direzione vale l’altra. Dopo circa un’ora di cammino, tra i fusti degli alberi e l’intricato groviglio di rami, intravidi quella che doveva essere una radura. Così come era venuto, il sibilo svanì. Smontai da cavallo, feci qualche altro passo e, restando al sicuro dietro il fitto fogliame, guardai.
A ben oltre un tiro di freccia scagliata dal migliore degli archi di legno di tasso, c’era la quercia più grossa che avessi mai visto. Alta come la torre di un castello, il suo tronco era talmente largo che ci sarebbero voluti almeno cento uomini per poterlo contenere in un unico abbraccio. Ai miei stanchi occhi, i rami più lunghi parevano decine e decine di draghi che provavano a distendere il collo verso l’esterno. La vista di ciò che avevo davanti era sbalorditiva e, allo stesso tempo, turbava. Un pensiero mi colse. Come avevo fatto a non scorgere mai l’immensa quercia svettare dal folto della vegetazione? Non riuscii a darmi una risposta che avesse una logica.
Abbassando lo sguardo verso la base dell’albero, vidi una luce tremolante muoversi a una ventina di iarde di distanza dal tronco. Stropicciandomi gli occhi pensai di essermi imbattuto in un fuoco fatuo. Rifiutai quell’ipotesi anche perché la luce del sole era ancora abbastanza forte e, si sa, i fuochi fatui appartengono ai misteri della notte. Osservando con maggiore attenzione, mi resi conto che quella in lontananza era la sagoma di un uomo e che il tremolio della luce non era altro che il riflesso del sole sul metallo dell’armatura che egli indossava.
Anche stando a parecchia distanza, potevo rendermi conto dell’imponenza di quel cavaliere. Doveva essere alto almeno sette piedi. Dietro la schiena scendevano, selvaggi, dei lunghissimi capelli color cenere come la sua barba. I fianchi dell’uomo erano circondati da una spessa cintura di cuoio a cui era agganciata un’enorme spada dotata di una grossa guardia a forma di croce. La truce figura camminava seguendo un cerchio invisibile attorno alla quercia, mentre la punta della sua arma sfiorava il terreno come a volerlo dissodare. Il cavaliere vagava guardandosi continuamente intorno con fare sospettoso. Sembrava temesse che una minaccia potesse sbucare da un momento all’altro dal folto degli alberi.
D’improvviso il sibilo riprese nelle mie orecchie. Questa volta in modo un po’ più forte e fastidioso. Capii che dovevo muovermi e che il mio destino si sarebbe presto incrociato con quella possente figura. Allentai leggermente i lacci che fermavano la lancia posta sul fianco destro del mio destriero, mi rimisi in sella e, dopo aver fatto un bel respiro, diedi di redini. Lentamente uscii dalla protezione degli alberi rendendomi visibile.
Vidi l’altro voltarsi all’istante nella mia direzione e piantare con decisione i piedi nell’erba. Più mi avvicinavo, più mi rendevo conto dell’effettiva possanza dell’uomo che si frapponeva tra me e l’enorme quercia. Ad ogni passo, cresceva in me la sensazione che il suo temibile sguardo stesse provando a scrutarmi nel profondo alla ricerca di chissà quali risposte. Riducendo la distanza tra noi, potevo finalmente osservarlo con maggiore chiarezza. Figura dalle spalle larghe e dallo sguardo fiero, il volto che sembrava incavato nel legno, le profonde rughe del volto e lo stato dell'armatura. Tutto contribuì a darmi l’impressione di trovarmi al cospetto di un essere antico come il tempo.
Ero ormai a circa dieci iarde di distanza quando il cavaliere, tenendo poggiato il palmo della mano sinistra sul pomo della spada, alzò il braccio destro intimandomi di fermarmi. Tirai verso il mio petto le redini. Il cavallo si bloccò all’istante. L’altro esordì con queste parole «Io sono il Guardiano. Se ho un altro nome, non lo ricordo. Sono un essere velato a se stesso». Continuando a fissarmi negli occhi, ripartì dicendo «Fummo generati in due. Io destinato alla guardia, il mio gemello a seguire da vicino l’uomo osservandolo e indirizzandolo lungo la via per evitare che si smarrisse definitivamente nell’ombra».
Presi la parola chiedendo «Di chi o cosa sei il guardiano, mastro cavaliere?». Con un’espressione che tradiva meraviglia, l’uomo dai capelli grigi riprese a parlare «Da lunghe ere custodisco l’Albero. La mia esistenza è indissolubilmente legata a Lui. Anno dopo anno, d’estate come d’inverno, mai ho interrotto il mio vigilare». Il vecchio cavaliere fece una breve pausa poi, sembrando rivolgersi al mondo intero, disse «Oh quante stagioni hanno visto nascere e morire questi stanchi occhi! Notti sconsolate passate in autunno guardando la fitta pioggia di foglie morte cadermi tutta intorno. Impugnando il loro flagello di ghiaccio, infiniti inverni hanno sferzato questo povero corpo mentre il vento ululava tra la neve come a voler intonare il lamento funebre dell’ennesimo anno che si apprestava a morire. La primavera e l’estate mi hanno portato il loro carico di dolci illusioni per poi prendermi la mano e accompagnarmi di nuovo verso l’inizio di un nuovo ciclo. Così, tante e tante volte per un numero che non so dire» e ancora «Io sempre qui a camminare avanti e indietro, avanti e indietro con la luce del sole, il luccichio della luna o l’improvviso bagliore di un lampo ad illuminare la mia guardia. Oh che cosa magnifica, agghiacciante e impenetrabile è sapersi immortali!». Il colosso fece un lungo respiro, torse il suo collo massiccio prima a destra e poi a sinistra. Infine, guardandomi dritto negli occhi, disse «Adesso basta parlare. Chi sei tu?».
Avevo ascoltato le parole dell’antico Guardiano con una tale attenzione, che quasi non mi resi conto di dovergli fornire una cortese risposta. «Parsifal, questo è il mio nome. Sono un cavaliere di Artù, nobile Signore di queste terre». Il Guardiano, chiaramente contrariato, mi interruppe subito «Taci cavaliere! Nessuno ha potere e giurisdizione su questa foresta. Nessuno tranne l’Albero di cui sono custode». In quegli istanti ebbi la sensazione che quelle parole fossero state accompagnate da leggere vibrazioni del terreno. Percepivo chiaramente l’enorme potere emanato da quell’essere dall’età indefinibile. Da quel momento in poi, posi molta più attenzione nella scelta delle parole da pronunciare.
Ricominciai «Mi scuso con te Guardiano. Sono in viaggio da così lungo tempo da aver perso tutti i miei punti di riferimento. A dire il vero, non so dove mi trovo. Potrei aver superato i confini del regno dal quale provengo senza essermene nemmeno reso conto e aver poi continuato il mio cammino fino a sconfinare in quello del tuo Signore. In quel caso, proprio non mi spiego come ciò sia stato possibile».
Apparentemente non molto convinto dalla mia risposta, il Guardiano mi fece un’altra domanda «Che senso ha il tuo viaggiare? Cosa ti ha portato fin qui?». A quelle domande risposi raccontando quanto mi era accaduto fino a quel momento «Il mio sire si sta spegnendo lentamente e con esso il suo popolo e le sue terre. Un giorno, non so più quanto tempo fa, Dio ci mandò un segno e, per bocca di re Artù, ci chiese di ritrovare il perduto Graal per abbeverarci all’infinita fonte di saggezza e verità contenuta in quella sacra coppa».
Accertandomi con uno sguardo che l’altro continuava ad ascoltarmi con attenzione, proseguii a raccontare la mia storia «Dalla riuscita di questo compito sarebbe dipeso il destino di tutti. Così, io e i miei compagni cominciammo la ricerca dirigendoci ognuno per la propria strada. Adesso, dopo anni di inutile vagare e mille patimenti che hanno minato la mia salute mentale e fisica, sono qui dinnanzi a te. Una donna apparsa da chissà dove, ultimamente mi ha indicato la via, una via che portava dritto al cuore di questa foresta che mi disse non avere nome».
Il Guardiano riprese la parola «Graal? Non conosco questo Graal e comunque tu e quella donna cadete in fallo. La foresta in cui ti trovi ha un nome, ma è stato dimenticato. Troppo tempo è passato da quando il suo ricordo si è spento nel cuore degli uomini eclissandone per sempre il ricordo» dopo una breve pausa, mi chiese «Adesso che sei arrivato sin qui, cosa intendi fare?».
Gli risposi con la massima franchezza «Un sibilo mi ha portato al tuo cospetto. Lo sento ancora adesso mentre ti sto parlando. Non so spiegarti perché, ma ho la sensazione che esso mi stia guidando dritto verso la quercia alle tue spalle». Inspirai molta aria nei polmoni e poi gli dissi «Puoi cortesemente farmi passare nobile Guardiano?».
A questa domanda l’altro reagì cambiando postura quasi come a volere preparare il suo corpo allo scontro. Inchiodando i suoi occhi nei miei affermò «Mi chiedi di fidarmi di te e di lasciarti passare. So bene che ogni uomo, per le sue scelte passate o future, è potenziale portatore di bontà. Tuttavia so anche che, per i suoi abomini passati o futuri, può esserlo d’ogni tradimento». A queste parole controbattei con sicurezza dicendo «Signore ti prego di credermi se ti dico che mai fino ad oggi ho vacillato percorrendo la strada verso la luce. Mai sono caduto nei tranelli del maligno». L’uomo dal volto profondamente segnato dal passare di mille stagioni, mi rispose accennando un sottile sorriso «Può anche corrispondere al vero ciò che dici, ma il dubbio è uno dei tanti nomi dati alla saggezza. Al mondo non esiste cosa che non possa portare sul ciglio di un pozzo affacciato sugli inferi. Nulla è protetto da questo rischio. Anche tra i tuoi fratelli d’arme, tra quegli uomini a cui fu concesso il privilegio di sedere attorno alla Tavola Rotonda, massimo simbolo terreno di nobiltà e virtù, anche tra quegli scranni il male ha prosperato annidandosi nel cuore di alcuni». Incurante della mia espressione offesa e della mia mano che scendeva a cercare l’elsa della spada, il Guardiano continuò dicendomi «Io sono qui per evitare che il germe di quel rischio possa penetrare nella corteccia dell’Albero corrompendone per sempre il suo interno e la sua forza vitale. Se ciò accadesse, tutto sarebbe perduto». Mentre ascoltavo quelle ultime parole, ebbi la sensazione che la figura del Guardiano fosse divenuta ancora più imponente.
Nemmeno il tempo di dare una spiegazione che desse un senso a quella mia impressione, che lo sentii pronunciare queste parole «La vita dell’uomo si dipana lungo una fila infinita di contrasti. Pace per guerra, gioia per dolore, luce per buio. Il compimento del fato di un uomo, per contorto e lungo che sia, si riassume in un solo attimo: quello in cui egli si guarda allo specchio scrutando in profondità ciò che vede prendendone completa coscienza. Se l’uomo sparge il suo seme in una terra che non vale niente, quel seme secca e muore. Come agiamo simboleggia ciò che siamo. La vita di ciascuno si regge su un ponte le cui arcate sono gli atti compiuti. Quelle arcate possono essere molto solide ma anche fragili come il vetro. Come giudichi le tue, cavaliere?».
Cominciavo ad averne abbastanza. Il mio corpo, pressato dal suono che mi martellava nella testa, fremeva desideroso di raggiungere la grande quercia distante ormai poche iarde. Percepivo il contrarsi dei miei muscoli che si preparavano al duello. Tutto, anche rischiare una morte quasi certa, pur di provare a raggiungere l’immenso albero. Stavo per controbattere in modo rabbioso al Guardiano, quando sentii il terreno ricominciare a vibrare sotto i miei piedi. Pochi istanti dopo, un vento improvviso e impetuoso smosse tutti i rami della grande quercia facendoli stormire in modo così violento da generare un suono simile ad un profondo e potente lamento che sarà stato udito anche a diverse leghe di distanza.
Ripresomi dallo stordimento generato da quel fenomeno, mi voltai verso colui che ostacolava il mio cammino notando che il suo atteggiamento era d’un tratto mutato. Il suo corpo possente aveva assunto una posizione molto più rilassata. Le braccia cadevano molli lungo i fianchi. Ai miei occhi il Guardiano adesso appariva meno minaccioso ma soprattutto molto, molto stanco. Una stanchezza indicibile, ecco cosa mi trasmetteva la sua vista. Anche il suo volto era diverso. I tratti prima contratti adesso sembravano ben più rilassati. Le rughe, prima larghe e profonde come le acque di un fiume, ora parevano sottili come il corso di un ruscello. Ma ciò che più mi colpì fu la serenità dello sguardo. Da quegli occhi erano completamente sparite l’ansia indagatrice e l’attenzione costante verso possibili minacce.
In quel momento, l’uomo dagli infiniti inverni mi disse «Per la prima volta dopo lungo tempo, l’Albero ha parlato. Sento che la mia onorevole guardia è conclusa. Il nero della notte non è mai così assoluto come negli attimi che precedono il sorgere del sole. Poi l’alba giunge a portare via quel nero come fa l’acqua del torrente con il fango depositatosi sul fondale dopo un temporale. Così è stato, così è, così sarà. Durante la tua esplorazione hai vissuto mille angosce che, per quanto profonde, hai poi placato. In fondo al tuo cuore hai sempre saputo che la luce succede sempre al buio perché forte è la tua fede nella ricerca del bene supremo e universale. A volte può capitare che il solo modo che abbiamo per scovare ciò che cerchiamo è non cercarlo. A volte, è la cosa che si cerca a trovare noi. Adesso hai il mio consenso nobile Parsifal. Ora puoi passare».
Così dicendo, il Guardiano spostò il suo imponente corpo facendo cigolare le spesse piastre che componevano la sua armatura. Scesi dal mio cavallo e, dopo un profondo inchino, passai.
Continua...
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