Se non ricordo male, era un torrido pomeriggio d'estate dei primi '90 quando, sintonizzandomi su Italia 1, la mia vita incrociò per un paio d'ore quella di Claire, Brian, Andy, Allison e John, cinque ragazzi puniti dal rigido preside Vernon con l'obbligo di restare a scuola l'intero sabato.
Questo è lo spunto narrativo per raccontare in modo sincero, ingenuo e assoluto le contraddizioni e le ansie che caratterizzano quello straordinario e turbolento periodo della vita che chiamiamo adolescenza. Una lunga giornata in punizione che, quasi senza accorgersene, i cinque tramutano in una seduta di terapia di gruppo frutto dell'inconsapevole bisogno di ciascuno di trasformare il proprio dialogo interiore in un racconto collettivo. Una narrazione di sé, un dialogo tra i sé, forse inconsapevolmente ispirati dallo stile unico e immortale dell'opera Shakespeare.
Ma torniamo ai cinque in punizione. Raccontandosi agli altri quattro, ognuno di loro fa lentamente intravedere un'età adulta chiaramente ancora acerba e confusa. L'intera giornata dei ragazzi è scandita da situazioni e dialoghi che ci mostrano l'adulto che prova ad affiorare ma che viene ogni volta ricacciato verso il basso dal furore di un'adolescenza che alimenta, inesorabile, il fuoco delle emozioni. Tutto è mostrato in modo netto e polarizzante (l'amore e l'odio, la forza e la debolezza, il successo e il fallimento) e quasi tutto accade nella biblioteca della scuola, le cui immagini mi travolsero e mi affascinarono subito, innescando anche un deprimente confronto con la realtà scolastica che vivevo all'epoca.
Per me, come nel 1985 per Claire, Brian, Andy, Allison e John, con quell'estate cominciava un lento ma inesorabile processo di cambiamento. Era il punto dal quale nessuno può più tornare indietro. Per fortuna.
Con affetto, il Breakfast Club.
Photo credit: Universal Pictures
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