A tutti quelli che si impegnano ostinatamente per difendere e diffondere l'amore per i libri, dedico questa manciata di bibliopensieri scritti durante un tiepido pomeriggio di maggio.
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Posto di taglio davanti ai nostri occhi, un libro pare un gabbiano. Uno di quelli che disegniamo da bambini. Forse è per questo che, crescendo, certe letture riescono a farci sentire come sospesi.
L'acquisto di un libro in giovane età è come cemento liquido sparato sulle fondamenta che reggono il nostro futuro. Con quel libro, con quei libri, componiamo un Lego dalla cui effettiva stabilità dipenderà parte del nostro saper stare al mondo una volta adulti.
Tranquilli, un libro non può toglierci nulla. Può solo donarci un frammento di ciò che non abbiamo ancora.
Ha senso acquistare decine e decine di libri ogni anno ammassandoli tra scaffali, tavoli e comodini? Certo. Il senso ci viene rivelato pian piano con il passare del tempo. Per la precisione, tutte le volte che uno di quei libri sepolti nella dimenticanza ci sussurra le sue risposte proprio quando è necessario. È già scritto. Nei libri e nel nostro destino.
I libri sugli scaffali sottostanno alle stesse leggi del magnetismo. Come poli opposti si attraggono tra loro. È per questo che, quando proviamo a dividerli, li osserviamo piegarsi su un lato come a voler ritrovare il contatto perduto.
Perché soffriamo quando perdiamo un libro pur sapendo che sarebbe possibile acquistarne subito una nuova copia? Perché quello smarrito porta sopra le tracce indelebili del nostro passaggio. Alcune tangibili. Altre no.
La libreria che abbiamo in casa è l’anello ultimo di una catena di eventi. Potendo ripercorrere il viaggio di ciascun libro, risalendo la corrente del tempo, si giungerebbe ad una manciata di fogli sparsi sul tavolo o ad una mezza pagina scritta al computer. Davanti ai nostri occhi si staglierebbero le prime concrete tracce del flusso di pensieri dello scrittore, generate da una stratificazione di eventi, esperienze, emozioni e idee. Una meraviglia poter ripercorrere i sentieri personali di un autore. Quello si che sarebbe vero trekking letterario.
Se togli lo zucchero da una zuccheriera, quest’ultima continuerà comunque ad avere senso di esistere per futuri e dolci rabbocchi. Se si eliminassero le parole stampate da un libro, questo ne morirebbe immediatamente. L’esistenza di un libro è indissolubilmente legata a ciò che custodisce.
Come i fiori e le piante, i libri stanno bene ovunque in casa. Perché limitarsi agli scaffali?
Ai libri appoggiamo cose. Nei libri lasciamo cose. Fotografie, disegni, fiori, biglietti del treno, lettere, foglie, cartoline. I libri fanno da stampella e scrigno ai nostri ricordi.
Le pagine di un libro aperto e lasciato alla mercé degli elementi, si comportano come la pelle del nostro viso. Si seccano al sole, si rattrappiscono con la pioggia, mal tollerano l’umidità. Le pagine di un libro sono cosa viva.
Ogni libro comprato e non letto, muta lentamente in rimpianto.
Osservare la libreria di casa è come sfogliare l’album fotografico di famiglia. Quei dorsi mi ricordano quando avevo tredici anni, quelli più a destra i miei venti anni, quelli più in alto una trentina…
I libri lo spazio in casa se lo trovano da soli. Non subito. Lentamente. Il tempo passa e loro, raminghi, esplorano, sostano e bivaccano ovunque.
Il lettore non è poi così diverso da un ballerino di tango. Entrambi seguono uno schema cadenzato, entrambi si costruiscono un ritmo nella mente, entrambi seguono un flusso. Di parole. Di note.
Frequentando un libro, ben presto entriamo a far parte di una comunità che quel libro ha fatto suo prima di noi. Accomunati dalla stessa esperienza di lettura noi lettori diveniamo un tutt’uno. Le distanze paiono svanire e chi ci era completamente estraneo non lo è più.
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